Gioia, testimonianza, solidarietà

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DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI RAPPRESENTANTI DELLA
FEDERAZIONE ITALIANA ASSOCIAZIONI DONATORI DI SANGUE (FIDAS)
NEL 65° ANNIVERSARIO DI FONDAZIONE

Aula Paolo VI
Sabato, 9 novembre 2024

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Cari fratelli e sorelle, benvenuti!

Saluto il Presidente e tutti voi. Sono lieto di incontrarvi in occasione del 65° anniversario di fondazione della Federazione Italiana Associazioni Donatori di Sangue (FIDAS), animata dall’impegno silenzioso di migliaia di donatori in tutto il Paese. Vorrei fermarmi con voi a riflettere per un momento su tre aspetti della vostra attività: la gioia – perché so che voi siete gioiosi –, la testimonianza e la solidarietà.

Primo: la gioia. Gioia e positività sono caratteristiche frequenti negli ambienti del volontariato e più in generale tra le persone impegnate per il bene degli altri. Lo si sente anche qui, tra voi, e non è un caso. Donare con amore, infatti, porta gioia. Gesù stesso lo ha detto: «Si è più beati nel dare che nel ricevere» (cfr At 20,35). Il motivo è che noi «siamo stati fatti […] per donare amore, per fare dell’amore l’ispirazione di ogni nostra attività» (Benedetto XVI, Saluto ai giovani nella Cattedrale di Westminster, 18 settembre 2010). Il dono dà gioia, perché in esso tutta la nostra vita cambia e fiorisce, entrando nella dinamica luminosa del Vangelo, in cui ogni cosa trova il suo senso e la sua pienezza nella carità. Il dono dà gioia, ti rende più felice questo gesto [dare] che questo gesto [prendere] Questo gesto [dare] ci fa felici. Voi gratuitamente date agli altri una parte importante di voi stessi, il vostro sangue, e certamente conoscete la felicità che viene dalla condivisione.

Secondo: la testimonianza. In un mondo, sappiamo, inquinato dall’individualismo, che spesso vede nell’altro più un nemico da combattere che un fratello da incontrare, il vostro gesto disinteressato e anonimo è un segno che vince l’indifferenza e la solitudine, supera i confini e abbatte le barriere. Il donatore non sa a chi andrà il suo sangue, né chi riceve una trasfusione sa in genere chi è il suo benefattore. E il sangue stesso, nelle sue funzioni vitali, è un simbolo eloquente: non guarda al colore della pelle, né all’appartenenza etnica o religiosa di chi lo riceve, ma entra umilmente là dove può, cercando di raggiungere, correndo nelle vene, ogni parte dell’organismo, per portarvi energia. Così agisce l’amore. Ed è significativo, in proposito, il gesto di stendere il braccio, che si fa nel momento del prelievo. Somiglia tanto a quello compiuto da Gesù nella Passione, quando volontariamente ha disteso il suo corpo sulla croce. È un gesto che parla di Dio, e ci ricorda che «la missione evangelizzatrice della Chiesa passa attraverso la carità» (cfr S. Giovanni Paolo II, Omelia per la Beatificazione di Madre Teresa di Calcutta, 19 ottobre 2003).

Infine, la solidarietà. Chi segue il sangue arriva al cuore, fisicamente, ma anche spiritualmente: arriva cioè al «centro unificatore […] della persona» (Lett. enc. Dilexit nos, 55), dove si incontrano «la valorizzazione di sé e l’apertura agli altri» (ivi 18), al luogo per eccellenza della riconciliazione e dell’unità. E in proposito vorrei invitarvi a vivere la donazione del sangue, oltre che come un atto di generosità umana, anche come un cammino di crescita spirituale sulla via della solidarietà che unisce in Cristo, come un dono al Signore della Misericordia, che si identifica con chi soffre (cfr S. Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti alla marcia della solidarietà organizzata dai Dirigenti dell’Associazione Volontari Italiani del Sangue e Donatori di Organi, 2 agosto 1984). Seguire il sangue per giungere al cuore – non dimenticatevi questo –, cioè per abbracciare sempre più ogni uomo e donna che incontrate, tutti, in una sola carità.

Carissimi, grazie per quello che fate! Benedico voi e le vostre famiglie, i donatori e tutti coloro che collaborano con la vostra Federazione. Vi ricordo nella preghiera e, vi raccomando, anche voi non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

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